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mr harlot
view post Posted on 26/3/2010, 23:11 by: mr harlot




Dal momento che in questo thread aleggia la timida presenza di svariati russofili mi permetto, facendo leva sul solito piglio sbarazzino dell'intellettuale da bar sport, di portare per un attimo i riflettori su un capolavoro spesso sfuggito anche agli occhi dei più avidi cartofagi (almeno per quel poco che ho avuto modo di appurare), e la cui lettura mi sento banalmente di consigliare più di ogni altra cosa a chi (tutti, quindi) soffre o ha sofferto più o meno saltuariamente di accidia in stato terminale, celestiale sintomo che al termine dell'ultima pagina del rilegato di cellulosa in questione sarà oggetto di accurate revisioni e riflessioni da parte del fruitore il quale durante le circa 500 scorrevoli pagine non si sarà intrattenuto nel rimirare farfalle, e che inoltre, in quanto croce e delizia più o meno universale, contribuirà non poco al già di per sé sicuro processo di affezionamento al protagonista della vicenda:

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(1859)

Oblomov è la storia di ciò che sarebbe potuto essere se, di una vita che tale non è, in quanto il suo sbocciare viene saldamente tenuto a freno da un pervicace ed ostinato rifiuto nei confronti dei frenetici ritmi della stessa, in una continua e pedissequa lotta del senziente tra richiami al dovere, sospesi e abbandonati in vaghi e puntuali rimandi che difficilmente sfoceranno in un concreto compimento (gli ancora cinque minuti noti a tutti) e amati abbandoni alla più completa inazione, per una (non) tenzone in cui il divano funge da campo di battaglia e il sonno si erge a unico e vero vincitore. Quotidianamente crogiolato nelle reminiscenze di una passata esistenza ideale, in cui la semplice azione è sinonimo di distopia, il pacioccoso protagonista della vicenda, Il'ja Il'Ic Oblomov, residente a Pietroburgo e tenutario di una cospicua proprietà in quel di Oblomovka -la valle incantata dell'infanzia oggetto dei nostalgici vagheggiamenti di cui sopra-, spende le sue giornate in una stanza d'appartamento nel centro della capitale russa in pisolini pomeridiani e labili pensieri rivolti alla futura risoluzione di piccole noie, tra letture rigorosamente a metà di libri ormai impolverati e battibecchi con il fedele servo Zachar, altro alfiere del trasandato di cui il padrone non può fare a meno alfine di svolgere quelle minime ma fondamentali movenze giornaliere che contemplino un breve distacco dalla tanto amata posizione orizzontale, dall'infilarsi la vestaglia al far sapere a importuni conoscenti venuti in visita che non si è in casa. Di animo cristallino e dotato della più amabile ingenuità, Oblomov si staglia pigramente a paradigma ed eroe di chi, concedendosi intervalli di tempo spesi a contemplare il nulla anzichè a nutrirsi di cibo per lo spirito, rifiuta inconsciamente di accondiscendere, seppur magari temporaneamente, al forsennato incedere dell'esistenza, opponendo e preferendo ad un tormentoso, reiterato e in definitiva inutile affaccendarsi una vita di totale immobilità, fisica e mentale. Come una ricerca della valle incantata, solo senza marcia (questa la dovevo infilare da qualche parte, pardon).

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